La seconda sezione del Tribunale di Milano, chiamata a decidere sull'opposizione allo stato passivo di una procedura fallimentare, vi provvede in data 15/1/2015 con decreto/sentenza assunta, in composizione collegiale, al termine dell'ordinaria e solitamente rapida istruttoria.
Questo il contesto processuale che si svolge con modalità di svolgimento analoghe a quelle del procedimento ordinario (con gli obblighi discendenti dalle disposizioni di cui all'art. 16 bis D.L. 179/2012), seppur preordinato a spiegare i suoi effetti in una procedura concorsuale, regolata - ai fini della obbligatorietà del deposito telematico - dall'art. 16 bis 4.o comma D.L. 179/2012 ed integrata (per quel specificamente attiene alla sede giudiziaria interessata) dal decreto emesso in data 24/6/2011 dal DGSIA, ai sensi dell'art. 35 D.M. 44/2011.
Il giudizio (sul cui merito poco conosce chi scrive) si conclude con il rigetto dell'opposizione a cui viene assicurata esposizione ampia e motivata e si conclude con la comprensibile determinazione sulle spese di giudizio, che vengono poste a carico della parte soccombente seppur in misura non perfettamente aderente alle disposizioni di cui al D.M. 55/2014, che avrebbero forse dovuto condurre ad una liquidazione parametrata all'elevato valore della causa (euro 3.528.304,16).
Alla condanna di cui sopra si associa una ulteriore pronuncia non particolarmente frequente nell'ordinaria casistica processuale anche allorquando espressamente sollecitata da una delle parti costituite: la condanna alla responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 del c.p.c.
Il Tribunale di Milano provvede su questo punto applicando d'ufficio la tipologia delineata al comma 3 della norma citata e facendo quindi legittimo esercizio della ondivagante “discrezionalità del giudicante” che – dice l'art. 96 - consente “In ogni caso...” la condanna della “...parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.” e che, nel caso che qui ci interessa, viene quantificata nel 2,4 % dell'importo liquidato a titolo di spese giudiziali.
La decisione è abnorme, illegittima e rivela immediatamente un suo effetto devastante anche sul piano extra giuridico, minando alla qualità ed all'autorevolezza del supporto giurisprudenziale di merito tradizionalmente apportato dal Tribunale milanese, soprattutto in un contesto (quello del PCT) che quella sede ha conosciuto sin dalla sua nascita, imponendosi quale punto di riferimento nazionale per la sua pratica applicazione.
Il caustico giudizio che precede viene suggerito ed asseverato dalla lettura della succinta parte motiva che finisce per risolversi nella irrogazione di una vera e propria punizione al comportamento processuale dell'opponente e ravvisato nell'omessa allegazione della copia c.d. “di cortesia” (cartacea) alla comparsa conclusionale (telematicamente depositata), ritenuta produttiva di un aggravio, per il Collegio decidente, nella fase di esame delle difese delle parti.
L'assunto pare saltare a piè pari quel ponte, delineato all'indomani del 30 dicembre 2014, che ha esteso a gran parte dell'attività processuale, l'obbligo di deposito telematico già in parte vigente fin dal 30 giugno 2014. Esso – come detto - si colloca sorprendentemente in una sede giudiziaria notoriamente avanzata sul piano della pratica attuazione del sistema del P.C.T. e da tempo assurta a “faro” per quelle (non poche) ancora ferme alla fase sperimentale.
PCT: l'omesso deposito della copia cartacea di cortesia "costa" all'avvocato 5.000 euro
da Il Quotidiano Giuridico
La seconda sezione del Tribunale di Milano, chiamata a decidere sull'opposizione allo stato passivo di una procedura fallimentare, vi provvede in data 15/1/2015 con decreto/sentenza assunta, in composizione collegiale, al termine dell'ordinaria e solitamente rapida istruttoria.
Questo il contesto processuale che si svolge con modalità di svolgimento analoghe a quelle del procedimento ordinario (con gli obblighi discendenti dalle disposizioni di cui all'art. 16 bis D.L. 179/2012), seppur preordinato a spiegare i suoi effetti in una procedura concorsuale, regolata - ai fini della obbligatorietà del deposito telematico - dall'art. 16 bis 4.o comma D.L. 179/2012 ed integrata (per quel specificamente attiene alla sede giudiziaria interessata) dal decreto emesso in data 24/6/2011 dal DGSIA, ai sensi dell'art. 35 D.M. 44/2011.
Il giudizio (sul cui merito poco conosce chi scrive) si conclude con il rigetto dell'opposizione a cui viene assicurata esposizione ampia e motivata e si conclude con la comprensibile determinazione sulle spese di giudizio, che vengono poste a carico della parte soccombente seppur in misura non perfettamente aderente alle disposizioni di cui al D.M. 55/2014, che avrebbero forse dovuto condurre ad una liquidazione parametrata all'elevato valore della causa (euro 3.528.304,16).
Alla condanna di cui sopra si associa una ulteriore pronuncia non particolarmente frequente nell'ordinaria casistica processuale anche allorquando espressamente sollecitata da una delle parti costituite: la condanna alla responsabilità aggravata ai sensi dell'art. 96 del c.p.c.
Il Tribunale di Milano provvede su questo punto applicando d'ufficio la tipologia delineata al comma 3 della norma citata e facendo quindi legittimo esercizio della ondivagante “discrezionalità del giudicante” che – dice l'art. 96 - consente “In ogni caso...” la condanna della “...parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.” e che, nel caso che qui ci interessa, viene quantificata nel 2,4 % dell'importo liquidato a titolo di spese giudiziali.
La decisione è abnorme, illegittima e rivela immediatamente un suo effetto devastante anche sul piano extra giuridico, minando alla qualità ed all'autorevolezza del supporto giurisprudenziale di merito tradizionalmente apportato dal Tribunale milanese, soprattutto in un contesto (quello del PCT) che quella sede ha conosciuto sin dalla sua nascita, imponendosi quale punto di riferimento nazionale per la sua pratica applicazione.
Il caustico giudizio che precede viene suggerito ed asseverato dalla lettura della succinta parte motiva che finisce per risolversi nella irrogazione di una vera e propria punizione al comportamento processuale dell'opponente e ravvisato nell'omessa allegazione della copia c.d. “di cortesia” (cartacea) alla comparsa conclusionale (telematicamente depositata), ritenuta produttiva di un aggravio, per il Collegio decidente, nella fase di esame delle difese delle parti.
L'assunto pare saltare a piè pari quel ponte, delineato all'indomani del 30 dicembre 2014, che ha esteso a gran parte dell'attività processuale, l'obbligo di deposito telematico già in parte vigente fin dal 30 giugno 2014. Esso – come detto - si colloca sorprendentemente in una sede giudiziaria notoriamente avanzata sul piano della pratica attuazione del sistema del P.C.T. e da tempo assurta a “faro” per quelle (non poche) ancora ferme alla fase sperimentale.